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Giri di parole 'di Barbara Silvia Anglani'
Giri di parole
di
Barbara Silvia Anglani*

La prima monografia su Achille Campanile, nell'anno del centenario della nascita e che ha visto i più fitti dibattiti sul tema del comico.
Emerge il lavoro di Campanile giornalista durante il fascismo e la genesi dei suoi libri più celebri
Titolo: GIRI DI PAROLE Le Italie del giornalista Achille Campanile
Autore: Barbara Silvia Anglani
Editore: Piero Manni pieromannisrl@clio.it
pagine: 214
 
* Barbara Silvia Anglani, studi a Firenze, dottorato di ricerca in Italianistica a Trieste, si occupa di letteratura di massa e ha scritto anche su Collodi e sul comico. Giornalista, svolge consulenze per le questioni di cultura della legalità democratica.

L'inesauribile corpus campaniliano interessa ed avvince tuttora non solo i semplici lettori, rallegrati da recenti riedizioni dei suoi romanzi più famosi, ma anche la cerchia più ristretta degli studiosi.
Su Achille Campanile molti nomi illustri hanno esercitato le loro virtù critiche, e questo è avvenuto in gran parte sulle pagine dei giornali. La bibliografia critica comprende una gran mole di interventi su periodici e molti meno numerosi contributi in volume. Tra questi ultimi poi, si registra un solo caso di pubblicazione monografica.
La ricorrenza del centenario della nascita di Achille Campanile, nel settembre del 1999, è trascorsa abbastanza inosservata, se si escludono pochi articoli pubblicati nelle terze pagine dei quotidiani. Sembra dunque più che opportuno approfittare del fatto che Campanile amava mentire sulla propria data di nascita, posticipandola di un anno e dicendosi uomo del 1900, per editare un volume interamente dedicato alla sua attività.


Si è scelto di assumere come oggetto di studio l'attività giornalistica di Achille Campanile: un autore conosciuto prevalentemente come romanziere, commediografo e freddurista, da non molti anni studiato anche nelle vesti di recensore televisivo, ma le cui opere hanno visto quasi tutte la luce dapprima sulla stampa periodica e solo successivamente in volume. Questa originaria matrice giornalistica esercita un influsso sugli scritti, che non viene meno quando le opere vengono ripubblicate in volume, ma che è più difficilmente ricostruibile se non si ha presente il tipo di periodico (quotidiano, rivista, settimanale, rotocalco) su cui esse nacquero.

Le innumerevoli collaborazioni giornalistiche di Campanile spaziano dalle pagine umoristiche alla cronaca mondana a quella culturale a quella sportiva; affrontano, nell'arco di vari decenni, temi di vario interesse, dall'umorismo alla televisione all'avventura coloniale al mondo del cinema. Sempre, qualunque epoca storica egli abbia attraversato, qualunque contributo abbia offerto, Campanile lo ha fatto con intuizione, fantasia, abilità nell'uso del mezzo comunicativo, grande intelligenza.
Il lavoro giornalistico non è dunque affatto secondario nella sua storia e nella sua produzione; si può anzi dire che i romanzi costituiscano eccezioni nel complesso della sua attività, considerando che egli si dedicò professionalmente al giornalismo dall' età di venti anni fino ai settanta. La scrittura giornalistica di Campanile non va però cercata sulla terza pagina, della quale egli fu sempre avaro frequentatore. La troviamo invece nei luoghi più insospettabili, dai reportages di viaggio a quelli sportivi e perfino, ai tempi della "Gazzetta del Popolo", negli annunci economici.
Campanile stesso ricorda il suo apprendistato alla "Tribuna", quotidiano successivamente fuso con l'"Idea Nazionale", dove il padre lavorava come redattore; ecco come ricostruisce il suo lavoro di correttore di bozze e l'ambiente giornalistico, in due brani recuperati dattiloscritti nell'archivio di famiglia a Velletri, da Campanile utilizzati per Benigno, il progetto di un romanzo autobiografico mai condotto a termine:


Abbandonato il Ministero, e poichè l'università gli lasciava
tempo libero (non frequentò mai nemmeno una lezione), entrò come correttore di bozze nel giornale di cui il padre era redattore. I correttori di bozze facevano parte del personale di tipografia, ed erano considerati operai e pagati a settimana.
Benigno doveva perfino mangiare correggendo bozze, che nelle
ore di punta s'accumulavano sul tavolo in tipografia. Man mano che le bozze umide coi relativi originali piovevano sul tavolo con ritmo sempre più febbrile, fra i tre correttori c'era una muta e segreta lotta a schivare i grossi malloppi, i lunghi articoli barbosi in caratteri piccoli, le statistiche. Quando ne pioveva uno sul tavolo, tutti e tre i correttori s'immergevano nella lettura della propria bozza, ognuno deciso a non licenziarla se prima qualcuno dei due colleghi non prendeva il malloppo. [...]

Qui Benigno s'impratichì di tutta la tecnica del giornale. Era un osservatorio in cui passavano tutte le notizie e tutti gli articoli, le corrispondenze, i comunicati, i fonogrammi degli stenografi, e si vedeva come sull'originale erano stati fatti, le trasformazioni, o le aggiunte, i tagli, i titoli, e come si trasformavano in pezzo del giornale.

La redazione era composta d'un nucleo politico e d'un nucleo letterario e artistico, entrambi molto importanti. Del nucleo politico tutti diventarono, col tempo, ministri, senatori, accademici, o raggiunsero alte cariche. Accanto ad essi c'era un nucleo letterario, politicamente del tutto indipendente dall'altro; le cui opinioni non aveva nessun obbligo di seguire, essendo libero di pensarla come gli pareva, e regolandosi appunto così. Soltanto l'amicizia legava i due nuclei. Di quello letterario e artistico, tutti raggiunsero col tempo fama e autorità, diventarono col tempo illustri scrittori, critici autorevoli, accademici, o ebbero posti direttivi nella cultura nazionale.

Un'altra caratteristica di questo giornale era la straordinaria quantità dei direttori. Si può dire che erano più i direttori che i redattori. O, meglio, c'erano un direttore e un comitato direttivo composto di tutto lo stato maggiore dell'associazione nazionalista, il quale nel giornale aveva un'influenza pari, se non superiore, a
quella del direttore. Il che era forse una delle cause della costui nevrastenia.

Era questi un vecchio letterato e drammaturgo fiorentino [Corradini], scapolo, dal cranio polito, dal volto acceso, raso e disgustato, che pareva uscito da un quadro del Pollaiolo.
[...] Era considerato un apostolo del nazionalismo, una specie di monumento vivente, e bisogna dire che, fors'anche a causa della sua nevrastenia e intrattabilità, qualche grandezza spirava da lui.
Non usciva quasi mai dalla propria stanza e i redattori non lo vedevano mai e lo consideravano una specie di mito. Le rare volte che s'incontravano con lui nei corridoi, lui non li riconosceva, ne s'accorgeva di loro. Lo si sentiva soltanto, di quando in quando, urlare contro qualcuno, con la sua voce metallica, a scatti, dalla pronunzia incisiva e sonora, in un toscano ore rotundo, dalla dizione limpida, di declamatore.
[Il redattore capo, Milelli:] Magro, olivastro, con una lunga testa cavallina dai radi capelli e afflitto da calli che l'obbligavano a camminare come sulle uova e coi piedi talmente divergenti da formare quasi un'unica linea retta, questi aveva la mania dell'eleganza. Terminato l'orario, non s'occupava che di cravatte e gilè.

Non fu mai visto usar la penna. Si diceva che, con le forbici e la colla, ritagliando pezzetti di giornale e addirittura semplici parole (perchè trovava questo più semplice che scrivere) e incollando, riuscisse perfino a scrivere articoli, corrispondenze per altri giornali e commenti politici.
[...]
Questo giornale aveva degli alti e bassi. Si succedevano periodi di ristrettezze, durante i quali avvenivano riduzione di personale, licenziamenti, restrizione di locali; e periodi di floridezza, nei quali la redazione s'ingrandiva, s'arricchiva, per tosto ripiombare nella più nera miseria, non appena finiti i quattrini.
[...]
Ai periodi di magra corrispondeva sempre, per prima cosa, una contrazione dei servizi della cronaca, giudicata superflua ai fini della politica e che pertanto quasi scompariva, riducendosi il giornale quasi a un semplice bollettino del partito.



Inizialmente, secondo Oreste del Buono, Campanile considerò il lavoro giornalistico soltanto come un compromesso rispetto alla vocazione di autore teatrale; ma ben presto dove convincersi del contrario, visto che come giornalista gli arrise quel successo che come autore teatrale egli non raggiunse mai. Il giornalismo rappresentò comunque sempre la sua fonte primaria di sostentamento; nell'archivio di Velletri si sono reperite centinaia e centinaia di lettere con le quali i direttori o i caporedattori dei periodici più disparati sollecitavano da parte sua l'invio di pezzi, per i quali egli era sempre in ritardo.
La fisionomia di Campanile giornalista non può considerarsi indipendente da quella dello scrittore, considerata anche l'eccezionale mobilità che interi brani rivelano: ritroviamo gli stessi passi nei romanzi, nelle commedie, negli articoli, tanto che si è parlato per la produzione campaniliana di "composizione modulare", individuando nella tragedia in due battute l'elemento modulare minimo per la costruzione delle opere.3 Sulla contiguità riscontrabile tra giornalismo, narrativa e teatro si sono pronunciati, tra i vari critici di Campanile, anche Calendoli e Del Buono:


Questa folta congerie di scritti può dividersi da un punto di vista esterno in zone d'interesse apparentemente ben delimitate, perchè appartenenti a generi tradizionalmente (e con fondamento) considerati molto diversi l'uno dall'altro: il giornalismo, la narrativa e il teatro. Ma da un punto di vista sostanziale, sia per quanto riguarda i temi sia per quanto riguarda lo stile, si presenta invece come un'opera notevolmente coerente e omogenea, nella quale è difficile, se non addirittura impossibile, stabilire nette distinzioni di strutture formali."
Giornalismo, teatro, narrativa sono classificazioni di comodo, ovvero divisioni, spartizioni, specializzazioni che Campanile usa per farsi intendere, e anche compensare, dagli altri nell'esercizio della sua professione di scrittore, ma in cui, in definitiva, non crede mai interamente.



Nonostante questa affermazione, gli scritti giornalistici non sono stati finora considerati nella loro struttura complessiva, trattati alla stregua di serbatoio per le creazioni editorialmente più dignitose e quindi pubblicate in volume. è vero che molto spesso Campanile affida all'effimero giornale il compito di saggiare la riuscita di eventuali battute, ma è anche vero che questo è solo uno degli utilizzi del mezzo giornalistico da lui tentati. La professione di giornalista esercitò su di lui un grande fascino soprattutto per le potenzialità di rapporto con il pubblico in essa insite. Appare perciò riduttiva l'individuazione di cui si è detto -proposta da Calendoli- della tragedia in due battute come elemento modulare di tutta la produzione campaniliana, che nascerebbe da un diverso agglomerarsi delle varie tragedie attorno ad un pretesto qualsiasi; in questo modo infatti si tralascia tutta l'arte descrittiva e meditativa dell'autore, alla quale invece conviene riconoscere il dovuto rilievo.

Studiare Campanile giornalista vuol dire innanzitutto scontrarsi con la difficoltà di un lavoro filologico svolto sulla sterminata mole dei suoi articoli, con i quali egli ha riempito le pagine di quotidiani, settimanali, mensili, riviste colte, divulgative e di intrattenimento dai primi anni Venti a metà degli anni Settanta. Già in tanti hanno sottolineato l'impossibilità di censire tutta l'opera giornalistica di Campanile; qui si apporta un contributo all'arricchimento della bibliografia, reso possibile, oltre che dallo spoglio puntuale di alcune annate di giornali ai quali la collaborazione di Campanile era nota, anche dalla gentile disponibilità degli eredi dello scrittore, i quali mi hanno consentito di consultare l'archivio dove sono custoditi i dattiloscritti originali, e che ringrazio.
Le annotazioni ai margini dei dattiloscritti permettono di stabilire su quale giornale ogni brano è stato pubblicato; a volte è possibile rintracciare più stesure che si accavallano sulle stesse colonne, ritagli assemblati come puzzle fino a formare un nuovo pezzo. La decifrazione del collage che ne deriva non è immediata, anche per via dell'uso di sigle adoperate da Campanile, ma si è cercato di operare al meglio.

Appuntisuccessivamente confluiti in Benigno sono sparsi un po' dappertutto nell'archivio, anche in cartelline che raccolgono materiali apparentemente non collegabili con quell' opera. Inoltre, la consultazione dell'archivio ha consentito di attribuire a Campanile molti articoli comparsi anonimi o con pseudonimi negli anni Venti su vari giornali umoristici, che diversamente sarebbero sfuggiti al censimento.
Sezioni particolarmente interessanti dell'archivio, perchè finora totalmente inedite (a quanto mi risulta), sono quelle che riportano brani di teatro scritti per la radio, oltre naturalmente ai primissimi articoli della carriera di giornalista. Interessanti, infine, le lettere di affari, che testimoniano un continuo carteggio con editori e colleghi (tantissime quelle di Bragaglia); gli editori generalmente sollecitano produzioni, i direttori di giornali commissionano articoli (ma, specie nei primi tempi, invitano Campanile ad accontentarsi di paghe definite "francescane"); i colleghi si complimentano, gli attori intendono mettere in scena le commedie.
Pare che, a tutti costoro, Campanile non rispondesse quasi mai, o almeno non per iscritto; a fronte di intere scatole di lettere ricevute, non si registrano copie di quelle inviate. Due lettere di Campanile a Palazzeschi sono custodite presso la Biblioteca della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Firenze, ed altre due lettere presso la Biblioteca Nazionale di Roma, ma per il resto sembra che Campanile abbia scritto continuamente, durante tutta la sua vita, di tutto, tranne lettere.

I brani e le opere analizzate, anche quelli successivamente raccolti in volume, sono stati riportati alla loro originaria natura giornalistica, analizzandoli nel contesto comunicativo in cui comparvero. Difatti una diversa impressione producono sul lettore odierno, per esempio, i brani della cronaca del Giro d'ltalia se consultati nel volume che li raccoglie (Battista al Giro d'Italia), dove suscitano ammirazione per la brillantezza delle trovate e per la paradossalità delle situazioni, o sulle pagine della "Gazzetta del Popolo" dove uscirono nel 1932. Dalle colonne del quotidiano, le cronache sportive di Campanile assurgono a specchio deformante della retorica di regime, che, specialmente per il mondo dello sport, si cullava in metafore eroiche e che lo scrittore demistifica in un'operazione ardita di resistenza stilistica che può rischiare di sfuggire al lettore odierno.

Ancora più importante appare leggere direttamente il Diario di Gino Cornabò sulla rubrica settimanale della " Gazzetta del Popolo", il Fuorisacco, dal 1934 in poi. Non tutte le puntate compongono il volume che viene pubblicato ne11942, quando l'Italia è in guerra e il clima politico è mutato sensibilmente.

Il Diario di Gino Cornabò è importante anche per un altro aspetto: per le considerazioni, che implicitamente (cioè attraverso le vicende del protagonista) vi si svolgono, sul tema delicato del rapporto tra l'individuo e la massa in un momento particolare della nostra storia. Se da un lato, infatti, il fascismo propugnava un inquadramento massificato della popolazione fin dalla più tenera infanzia, dall'altro invitava al culto della personalità attraverso i canoni dell'eroismo, della prestanza fisica, della bellezza. Gino Cornabò rappresenta in questo quadro un disadattato (non però un dissidente) capace di far risaltare, con il suo torbido malcontento e la sua velleitaria e frustrata mania di grandezza, la vacuità di un sistema comunicativo basato lucidamente su quei presupposti. La lettura dei giornali del tempo può dunque essere effettuata anche attraverso la lente deformante di Cornabò, dal punto di vista di chi non si omologa al sistema comunicativo e culturale prevalente.

L' opera di Campanile si presta anche come mezzo per studiare l'immaginario collettivo durante gli anni della dittatura. Caterina De Caprio, nell'unica monografia esistente dedicata al nostro autore, inquadra storicamente e sociologicamente la sua produzione, svolgendo un importante lavoro in questo senso. Giovanni Calendoli fa un accenno alla composizione sociale dei protagonisti campaniliani: "Per approssimazione, questo mondo si potrebbe chiamare 'borghesÈ: di esso Campanile rappresenta soprattutto la distorsione provocata da una cieca e irrazionale soggezione a un complesso di convenzioni formali che non corrispondono più ai valori reali della vita, e che provocano risibili 'contrari' nell'accezione pirandelliana del termine". Questo è vero tanto più per Gino Cornabò, legato ad un sistema di vita ormai tramontato. L'ambizione velleitaria di Cornabò non corrisponde certo al sistema societario fascista, ma neanche, più semplicemente, al progresso e ai cambiamenti che la società vive in tutto il mondo occidentale.
L' avvertimento del contrario pirandellianamente inteso fa esplodere la comicità di Cornabò.
Contestualizzare i brani campaniliani significa anche accostarsi ad un senso del comico che a volte non ci appartiene più e che può perfino generare imbarazzo nel lettore odierno. Sono casi rari, ai quali si fa riferimento nel volume e che producono un contrasto con l'immagine di un Campanile olimpico creatore di battute senza tempo e senza età. In realtà, il senso del comico è sottoposto all'usura del tempo; Silvio Perrella, nell'introduzione alla recente riedizione degli Asparagi e l'immortalità dell'anima, individua un orizzonte necessario per lo sviluppo della comicità in generale e di quella di Campanile in particolare: "l'umorismo di Campanile presuppone la condivisione di alcuni valori, irrisi i quali si libera la risata. L'umorismo in genere è possibile solo se c'è una comunità. E quello di Campanile, in particolare, è nato e cresciuto secondo un'ottica nazionale".

L'esperienza di Campanile non sembra potersi ridurre in una dimensione 'aggressiva' del comico: di fronte ad un testo comico, o ad una qualunque manifestazione di comicità, sembra spontaneo chiedersi infatti chi sia messo sotto tiro, chi sia l'obiettivo, chi siano gli inclusi e chi gli esclusi. Il bersaglio di Campanile non è così semplice da individuare, o forse non c'è; oppure non è consapevolmente posto in quanto bersaglio. è un dato di fatto che manchi una verve polemica nella maggior parte delle pagine del nostro autore.
Sarebbe più semplice configurare l'umorismo degli anni bui sotto la dittatura come un umorismo tendente a sdrammatizzare, ad esorcizzare; ma è anche vero che spesso le pagine dei periodici si prestano a vere e proprie operazioni di propaganda, nelle quali la volontà di sancire l'esclusione di alcuni, e la relativa condanna, è palese. I giornalisti si trovano spesso nell'impossibilità, come la vicenda del "Travaso" documenta, di mantenersi in una posizione di equidistanza dalle lotte sociali e politiche. Si può pensare, come proponeva Eco, che la regola contestata sia nel comico totalmente implicita; ma ci sembra che questa ingegnosa soluzione, che affida al comico un carattere sovversivo eterno, non possa essere ritenuta valida in ogni circostanza.

Del dibattito -sempre vivo, come testimoniano anche recentissime pubblicazioni- intorno alla natura del comico si è tenuto conto come imprescindibile orizzonte nel quale inquadrare l'analisi di un autore come Campanile. La bibliografia tematica consultata è perciò stata inclusa nel presente volume, pur con la consapevolezza che essa rappresenta soltanto una scelta parziale degli studi esistenti sull' argomento.



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