...E allora, vogliamo provare, una volta per tutte, a stabilire la
misteriosa alchimia per la quale i romanzi di Achille Campanile,
sicuramente uno dei grandi umoristi del secolo, ogni tanto cadono in
disuso? È il destino, forse di ogni letteratura umoristica, snobbata
dalle storie letterarie con la esse maiuscola? Il dilemma che, in fondo,
ancora eccita la sensibilità di qualcuno: è un grande scrittore Campanile,
o è un «grande» (come sostiene Guido Almansi) «qualcos'altro?».
O
sono i tempi che cambiano e fanno sembrare quella risata vieux jeu?
Credo di poter avanzare una mia ipotesi soltanto «meccanica» di codeste
parziali eclissi. Voglio dire, in altri termini, questo. E cioè che, a
differenza di altre forme letterarie che in qualche modo "rimangono" anche
dopo la lettura, costituiscono archetipi o campi di tradizione orale o
circuiti invisibili di sopravvivenza, la letteratura "da ridere",
paradossalmente, è quella che si può raccontare di meno, che di meno
"resta", anzi, nello stesso istante della lettura, si consuma e perisce.
Quella di Campanile, poi, in massimo luogo. Con la conseguenza che la sua
fruizione, leggere un romanzo di Achille Campanile, è un fatto che si
esaurisce lì, riguarda chi lo fa direttamente, magari due, tre infinite
volte, poi basta.