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Geno Pampaloni
da "Il papà dell'assurdo" Il Giornale - 5 gennaio 1977
"... La sua "geniale idiozia", il suo modo di frequentare l'assurdo, egli l'aveva inaugurato negli anni Venti. Il suo assurdo, inoltre, era di natura singolarissima; non era di natura onirica, ossessiva o liberatoria, come nei surrealisti; né volto al rifiuto della negazione, come quello Dada; era forgiato sul nonsenso, e quindi fondamentalmente verbale, semantico. È questo l'aspetto più rilevante della sua modernità, che ha fatto sì che egli si sia trovato con disinvolto anticipo all'appuntamento con l'attualità di oggi.

Il suo umorismo si svolge, come scrisse Montale, nella "vena dell'umore idiota", "nell'ordine cinematico del grottesco"; non è mai direttamente polemico con la realtà o la società, non contesta e non pretende di andare oltre la realtà; è semplicemente "altro".

Il suo comico non nasce tanto dalla "situazione", quanto nello scaricarsi fulmineo, imprevedibile, come un cortocircuito, nell'assurdo verbale. Così intricata, allusiva, formicolante di segni ambigui, di doppi e tripli sensi, di falsi allarmi, di trabocchetti, labirinti ed equivoci, è la convenzione linguistica su cui si fonda la convivenza sociale, che il non-senso è già di per sé un sovrasenso.

Sotto la battuta, pungeva la satira, la critica. Ma era una critica così radicale che era al tempo stesso bonaria, polivalente, eternamente prét à porter, onnipresente e inafferrabile. Il tempo della dittatura, in cui Campanile scriveva, era non dico ignorato, ma spiazzato, confuso con le comparse su una ribalta sempre più eccitante. "Ogni verità e superflua, scrisse il Pancrazi: l'umorismo resta solo, è a un tempo soggetto o oggetto di sé, si nutre di niente, o meglio, come il mitico serpe, si rivolge su di sé e si distrugge ingoiandosi".