Gioco degli equivoci e processi veridittivi ne
"L'uomo dalla faccia di ladro" di A. Campanile"
di
Alessandro Gaudio
Università degli Studi della Calabria
La percezione del volto di un uomo si basa innanzitutto sul suo
riconoscimento in quanto attribuzione di quel volto a una
classe generale.
Le sue proprietà corporee non sembrano
poter essere colte se non attraverso categorie di percezione
e sistemi di classificazione già dati. Secondo Umberto Eco,
i messaggi visivi non comunicano l'apparenza degli oggetti,
ciò che noi vediamo; bensì ciò che sappiamo sulla loro
natura immanente.
Da sempre
la fisiognomica ha cercato di inscrivere in categorie
socialmente definite ogni aspetto fenomenologico del volto.
Nel processo di riconoscimento di un malfattore, di solito,
opera una selezione delle informazioni forniteci
dall'esperienza che rimanda alle strutture di un sapere già
consolidato. Un uomo è un ladro nella misura in cui risulta
rapportabile all'immagine acquisita di tale categoria; nella
misura in cui appartiene ad un dato contesto, in base alle
informazioni che ci comunica la sua faccia, la sua voce, il
suo nome.
Il ladro
ha avuto, attraverso secoli di studi, delle caratteristiche
abbastanza precise e, fino ad oggi, immutate. Già nell'opera
di Giovan Battista Della Porta la solidarietà tra anima e
corpo è totale: il ladro tipo veniva associato
simbolicamente al lupo, all'aquila e al corvo; il ruolo
tematico del suo
Huomo Cattivo comprendeva
un'immagine codificata di ladro basata sulle superfici e i
moti peculiari del suo corpo:
"brutto di faccia, l'orecchie lunghe e
strette, la bocca piccola distesa fuori, i denti canini
lunghi formati e usciti fuori, la loquela veloce. (...) Il
collo piegato: gobbo, con sei dita nelle mani, le gambe
molto sottili, i piedi gobbi e cavi sotto."
(1)
Il
topos verrà ripreso
da Jean-Luis Théodore Géricault (Rouen 1791 - Parigi 1824)
che, forse su invito del medico parigino Georget, dipinse
dieci ritratti di alienati (cinque dei quali sono andati
perduti). Sulla scorta delle teorie di Johann Kaspar Lavater
(2)
e mediante l'osservazione diretta delle caratteristiche
fisiognomiche dei pazienti Georget cercava di individuare le
cause dei loro disturbi interiori, e i ritratti di Géricault
gli potevano servire come materiale di studio. L'artista
francese dipinse un
Monomane del Furto esemplare per
il suo sguardo intenso, fisso e obliquo:
(3)
caratteristiche che diventeranno peculiari anche nei ladri
di Cesare Lombroso. Il ladro lombrosiano avrà:
notevole mobilità della faccia e delle mani; occhio piccolo,
errabondo, mobilissimo, obliquo di spesso; testa piccola,
fronte sfuggente, folto e ravvicinato il sopracciglio; il
naso torto o camuso o incavato, scarsa la barba, nera più
che folta la capigliatura, fronte quasi sempre piccola e
sfuggente, pallido o giallo il viso e incapace
d'arrossimento."
(4)
La
dipendenza dell'uomo dall'ordine biologico e da quello
sociale diviene un po' meno stretta con la
Sociologia
criminale (1884) di Enrico Ferri che opera una
semplificazione tipologica che lascia più spazio all'uomo
dotato di libero arbitrio: la fisionomia del criminale, nei
suoi caratteri dominanti, viene affiancata da un'analisi
dettagliata delle sue attitudini morali, solo in parte
riconducibili a tare fisiche.
Il concetto di occasione,
diversamente da quanto auspicava Hegel nella
Fenomenologia dello spirito (1807), non cancellerà i
confini ideologici insiti nel prototipo del deviante:
(5)
il volto del ladro, in quanto isotopia creata dalla visione
deformante di sistemi semiotici fondati su assunti mendaci,
è ancora riconoscibile in quanto tale. L'efficacia delle
dottrine di Della Porta, Lombroso e Ferri consiste nell'aver
cercato di dare una legittimazione scientifica a quella
percezione fisiognomica che ciascuno di noi condivide con
gli altri.
La
tradizione letteraria, come anche i luoghi comuni popolari,
ha fornito una catena di associazioni, un
sensus communis
appunto, che la fisiognomica non ha fatto altro che rilevare
e organizzare.
La
stabilità e la prevedibilità di tali schemi fisiognomici
sono alla base di quella cultura del pregiudizio rovesciata
in maniera così divertente ne
L'uomo dalla faccia di
ladro, un breve racconto umoristico contenuto nel
Manuale di conversazione (1973) di Achille Campanile.
Dalla mancata corrispondenza tra il sembrare un ladro e
l'esserlo effettivamente Campanile dà origine ad una
struttura narrativa che sfrutta sapientemente a livello
evenemenziale queste contraddizioni inscrivendole
all'interno di un gioco di malintesi ed equivoci malvagio e
beffardo.
Un
"vecchio ladro" e un signore non meglio definito, il
soggetto-narratore, stanno conversando all'interno di una
bettola "fumosa" e affollata. Il vecchio si avvicina al suo
interlocutore e comincia a raccontargli la storia del suo (a
sentir lui) unico furto.
Il luogo
in cui si svolgono i fatti è uno scompartimento di terza
classe di un treno (ambiente topico nella narrativa
campaniliana); seduto davanti al vecchio ladro c'è un
viaggiatore descritto confusamente, ma il cui volto è,
senz'altro, "poco rassicurante":
sotto la luce rossastra della lampada a petrolio, apparvero
i lineamenti volgari d'una faccia equivoca, losca e
pallidissima, che una squallidissima barba di sei o sette
giorni rendeva ancor più sinistra e su cui si leggevano a
chiare lettere la fame e la sfacciataggine.
(6)
I due si osservano a lungo, finché il "losco figuro" emette un
sintagma fulminante:
Io, signore, ho la faccia di ladro.
(7)
Al quale fa seguire un elenco completo delle difficoltà che comporta
una simile responsabilità fisiognomica. Il vecchietto
continua il suo racconto descrivendo le fasi del furto
operato ai danni del suo compagno di viaggio e la scoperta
di essere stato a sua volta borseggiato dall'uomo dalla
faccia di ladro che, in realtà, non aveva fatto altro che
recuperare il proprio portafogli. L'anziano malfattore,
quindi, conclude il suo racconto.
Il soggetto-narratore lascia la bettola ormai deserta e, dopo aver messo al corrente i
lettori del furto perpetrato ai danni del loquace
vecchietto, si accorge di essere stato derubato a sua volta.
(8)
Nella
perfetta circolarità della breve struttura narrativa, a
passare da una tasca all'altra è sempre lo stesso oggetto di
valore: il portafogli.
Il ladro
di Campanile è, dunque, l'espressione di un pregiudizio a
carattere lombrosiano basato sull'esatta correlazione tra
Körper, inteso come assetto biotipologico, e
Leib,
in quanto corpo vissuto, corpo agito e che agisce. L'uomo
che ha i tratti somatici tipici del ladro è il suo corpo; il
suo linguaggio diventa fisionomia: quel corpo e,
in
primis, quella faccia contengono ed esprimono l'essenza
e la corporeità dell'essere ladro.
Da un pregiudizio di questo
tipo si procede, attraverso la narrazione, al suo
rovesciamento, a disincarnare la parola e il gesto da quel
corpo. In tal senso è determinante la sanzione continua e
ripetuta all'attante collettivo, così denominato quando è
dotato di un fare comune a tutti gli attori che sussume.
(9)
Il racconto di Campanile è interamente basato sul confronto di
natura polemica tra un soggetto e un anti-soggetto i cui
programmi narrativi sono in rapporto di contraddizione.
Tuttavia, nessuno dei tre soggetti presenti all'interno
della storia riesce a rubare il portafogli dell'altro: essi,
dopo appropriazioni più o meno prolungate, si trovano
disgiunti dall'oggetto di valore.
Il continuo confronto fra i
tre attori crea un universo di valori isotopo e chiuso: la
forma di racconto che ne deriva è una delle più primitive:
"due personaggi, alternativamente imbroglione e vittima, si
appropriano successivamente di un oggetto di valore che
passa così dalle mani dell'uno a quelle dell'altro
all'infinito".
(10)
Ciò è ribadito nell'
explicit del
brano:
Insomma, non tardai a rendermi conto di quel che era
avvenuto. Mentre mi faceva il suo racconto, il diabolico
vecchietto, credendo di derubarmi, aveva, per la seconda
volta in vita sua, rubato il suo portafogli.
Per
la seconda volta, che sappia io. Ché chi sa quante altre
volte s'era derubato.
(11)
Giunzioni
e disgiunzioni in successione danno luogo ad uno stato
narrativo molto elementare caratterizzato, ogni volta, dalla
presenza di due soggetti e di un solo oggetto di valore.
All'interno di un fare narrativo di questo tipo, si inscrive
un fare-trasformatore, operato da tutti e tre gli attori,
che garantisce lo spostamento da uno stato all'altro. Il
soggetto trasformatore si identifica alternativamente sia
con il vecchio (ladro), sia con il losco figuro (ladro), sia
con l'Io-narrante (ladro).
La
trasformazione porterà all'inversione dell'enunciato di
stato di partenza e, quindi, il portafogli, oggetto di
valore virtuale, diverrà realizzato nelle tasche del
soggetto che opera la trasformazione; i ruoli dei soggetti
si invertiranno con il furto successivo.
è
evidente il tentativo dell'attante collettivo di dimostrare
il suo saper-fare (il ladro), attraverso l'acquisizione
iterata, ma ripetutamente sanzionata.
(12)
del portafogli. Purtroppo nessuna congiunzione con l'oggetto
di valore va a buon fine, annullata com'è dalla disgiunzione
successiva. Pertanto, il processo di realizzazione
riflessiva dell'oggetto, attuatosi in concomitanza con
l'appropriazione di questo da parte di un soggetto, si
concretizza solo dal punto di vista modale; tanto è vero che
non vi è alcun dubbio sul fatto che i singoli attanti
sappiano fare i ladri.
Il loro
saper-fare non è mai sanzionato. Per contro, la sanzione
arriva all'attante collettivo per mezzo della sua
disgiunzione dall'oggetto di tesaurizzazione, l'oggetto di
valore descrittivo.
La grammatica generativa de
L'uomo dalla faccia di ladro
si muove, insomma, in senso opposto sia rispetto
all'ideologia, intesa in quanto forma dei significati di
connotazione, sia rispetto alla retorica intesa come forma
dei connotatori.
Essa, inoltre, mette in scacco il processo di agnizione che gira a
vuoto ad ogni tentativo di acquisizione del portafogli.
L'uomo dalla faccia di ladro manca ripetutamente la
congiunzione con l'oggetto di valore e si spoglia, così,
della funzione segnalata dal suo volto. Perde, per così
dire, la sua peculiarità, si confonde. Il racconto e il
luogo comune sul quale esso si sostanzia vanno in corto
circuito perché tutti i personaggi si comportano allo stesso
modo, compromettendo, così, il passaggio da un certo sapere
(ideologico) ad un altro sapere (vero) e invalidando il
marchio, l'indice dell'appartenenza del soggetto ad un
determinato sistema assiologico.
è stato detto che l'intera opera di Achille Campanile è
programmata sul modello del caos;
(13)
di fatto, è un pentolone eterotopico, una sorta di brodo linguistico
primordiale in continua ebollizione in cui le regole non
vengono sfidate, ma ignorate.
Il
pretesto, unità di
misura di tutti i racconti dello scrittore romano, sostanzia
un
establishment dell'assurdo
(14) all'interno del
quale vige la
lettera a discapito di qualsivoglia
costruzione retorica o ideologica. Tali pretesti vanno a
formare un
corpus, una riserva di argomenti che
precede ed è alla base del concetto stesso di letteratura:
un magazzino di riso,
(15)
un vero e proprio
silo memoriale.
Le tessere dell'umorismo di
Campanile compongono un "disordinatissimo (o ordinatissimo)
deposito"
(16)
dal quale l'autore attinge continuamente. Il pretesto è,
dunque, un elemento modulare, una tragedia in due battute,
un tema zero dell'argomento che, grazie alla sua
malleabilità e disponibilità, può essere facilmente
sviluppato attraverso un processo di smascheramento lento,
ma puntuale, pazientemente irridente, ma conciso, che
allontana e osserva il luogo comune fino a demistificarlo.
Il ricorso al luogo comune è,
dunque, il punto di partenza dal quale si dipana la trama
umoristica di Campanile. A tal proposito Umberto Eco afferma
che "non c'è mai in Campanile realtà che non sia filtrata
attraverso le lenti del luogo comune";
(17)
il suo umorismo, cioè, "richiede, per essere capito, che già
si sappiano molte cose sul mondo e sul linguaggio che ne ha
parlato".
(18)
Anche il
titolo del racconto ha la funzione di normalizzare il
contesto; "L'uomo dalla faccia di ladro" è una denominazione
che indica l'appartenenza ad un gruppo, la struttura scelta
per essere il luogo delle identità e delle differenze
pertinenti. Segnala, altresì, un carattere; è un
ammiccamento al linguaggio comune: la tipicità del
personaggio viene sottolineata per, poi, essere contraddetta
dall'organizzazione dei fatti.
è come se la
definizione che permette di identificare l'uomo dalla faccia
di ladro fosse consunta a tal punto da non consentire più il
riconoscimento di quella peculiarità così esibita.
Ne
L'uomo dalla faccia di ladro è, dunque, la reiteratività
della situazione a produrre la bisociazione, la collisione
tra le matrici tra loro incompatibili della frase fatta e
della lettera. L'ambiguità che nasce dalla divergenza dei
due contesti di riferimento produce la scena umoristica.
L'elemento che attua la disgiunzione, la biforcazione dal
piano serio a quello comico, e la conseguente messa in crisi
del luogo comune, è la mancata agnizione degli altri ladri e
l'incapacità, bissata nell'uomo che del ladro ha le
sembianze, di portare a termine il tanto agognato furto.
Anche in
Ma che cos'è quest'amore? (1927) Campanile aveva
sapientemente preso in giro la convenzionalità di alcune
attribuzioni di carattere fisiognomico esasperando il
processo di agnizione e, poi, negandolo:
Il
signore biondo ossigenato accese la sigaretta che il vecchio
gli porse e, fissandolo attentamente, proseguì:
«è
straordinario come lei rassomiglia a un mio amico, un certo
Mario. Lo conosce?»
«Non ho il piacere. Gli rassomiglio nei lineamenti?»
«No. Anzi i lineamenti sono diversissimi. Ma c'è qualche
cosa, in lei...»
«Forse nello sguardo?»
«Tutt'altro. Nello sguardo non c'è nulla in comune. Però, in
qualche cosa...»
«La voce?»
«Oh, no, no! Aspetti. Non arrivo a rendermi conto, eppure...
si vuol alzare un momento per cortesia?»
«Volentieri».
Il vecchio s'alzò e il biondo ossigenato l'esaminò a lungo,
pensieroso. Poi disse:
«Nella figura, non gli rassomiglia. Tuttavia... Si volti un
minuto, per favore».
Il vecchio si voltò e si lasciò guardare dal biondo, che
intanto mormorava mezze frasi, come parlando a se stesso, e
aveva certi tentennamenti del capo che non promettevano
nulla di buono.
«Fatto?» chiese finalmente il vecchio.
«S'accomodi» rispose il biondo ossigenato.
Quando si trovarono di nuovo faccia a faccia, il vecchio
disse ansioso:
«Ebbene?»
«Ebbene», fece il biondo, dopo una pausa «debbo confessarle
ch'ella non rassomiglia affatto, in nulla, al mio amico».
«Maledizione!» gridò il vecchio, spezzando un bicchiere.
(19)
Con
questo sistema Campanile, oltre al
modo di dire,
corrompe il
modo di guardare: nei suoi micro-racconti
opera uno spostamento da una regione esigua in cui il luogo
comune viene percepito in quanto tale, e, di conseguenza,
giudicato e respinto, ad una regione più ampia in cui il
luogo comune, procedendo verso la lettera e ignorando, così,
la propria codificazione, non esiste più.
La lettera, di fatto, coincide
con la dimensione dell'eteroclito, così come è stata
delineata da Michel Foucault: luogo in cui "è impossibile
trovare per essi [esseri e oggetti di diversa natura] uno
spazio che li accolga, definire sotto gli uni e gli altri un
luogo comune"
(20)
e che già Guido Almansi ha associato all'umorismo
di Campanile.
Si tratta di uno spazio privo
di identità, atopico e aforico; una sorta di a priori
storico e logico in cui si sperimentano le somiglianze e il
loro potere logogeno; l'opera di Campanile assume la forma
di un
sottisier, di uno sciocchezzaio di flaubertiana
memoria nel quale si ride delle corrispondenze di carattere
ideologico tra le parole e le cose. La lettera testa la
possibilità di una giustapposizione diversa, parallela, che
disconosca il luogo comune. A tal proposito Rita Cirio
afferma che: "La sua capacità di fare ridere si appoggia
spesso sugli scarti improvvisi e quasi impercettibili da un
universo 'normalè o per lo meno codificato come tale da
certi stereotipi letterari o teatrali a un universo
parallelo, sopra, sotto, accanto al primo. Per questo,
invece di parlare di surrealismo si può parlare di 'realismo
parallelo'".
(21)
Partendo
dalla perfetta corrispondenza tra la percezione di un
singolo individuo e il concetto stereotipato di criminale,
Campanile mette in crisi il dispositivo previsionale
attraverso la misinterpretazione dei caratteri somatici dei
personaggi. Le ben delimitate categorie utilizzate dalla
fisiognomica scientifica lasciano spazio ad
un'organizzazione del volto del personaggio disancorata dai
canoni socialmente acquisiti e contrastante con il
comportamento del deviante.
Con
Campanile il senso esce dalla norma, dal cassetto,
letteralmente, delira. In quest'ottica, al posto dei nomi
propri, utilizza spesso sostituti patronimici in forma di
clichés (il vecchio, il sinistro individuo, il biondo
ossigenato, il signore con una faccia che s'incontra
solamente sui vapori in mezzo al mare, l'erculeo granatiere
che sorregge sulle braccia un affusto di cannone e cinque
compagni in una volta e, appunto, l'uomo dalla faccia di
ladro); tutti atti a segnalare il tipo, il carattere
peculiare, il ruolo. Tali personaggi sono stati definiti da
Philippe Hamon referenziali in quanto: "
tutti
rinviano a un senso pieno e fisso, immobilizzato da una
cultura, a dei ruoli, a dei programmi, a degli usi
stereotipati, e la loro leggibilità dipende direttamente dal
grado di partecipazione del lettore a quella cultura (essi
devono essere
appresi e
riconosciuti).
Integrati in un enunciato fungeranno essenzialmente da
'ancoraggio' referenziale per rinviare al grande testo
dell'ideologia, dei clichés, o della cultura".
(22)
La denominazione,
insomma, non consente, anzi, compromette la distinzione; non
c'è riconoscimento, ma semplice traduzione di senso da un
individuo ad un altro: il senso va alla deriva, si allarga
continuamente fino a rompere i limiti del significante.
Lo spazio in cui il luogo
comune è negato è quello in cui Campanile sanziona la
definizione di un volto come figurativizzazione di un ruolo
tematico; quello in cui l'autore ci mostra una cosa come se
la vedessimo per la prima volta. In tal senso, Umberto Eco
parla di
effetto di straniamento,
(23)
sulla scorta del concetto che i formalisti russi avevano
attribuito all'arte seria.
Emerge una
certa irriducibilità dei tratti del volto sulla quale si
fonda un intreccio capace di sfruttare l'equivoco che nasce
dal senso suggerito dall'immagine. Gli strumenti della
conoscenza utilizzati dai sistemi sociali che circondano il
ladro di Campanile sono fallaci perché legati a convenzioni
che producono inferenze arbitrarie. Sia l'immagine che il
nome sembrano surrogare un senso assolutamente non
combinabile con la
dynamis dell'oggetto: entrambi
sono simboli fraintesi di qualcos'altro, di qualcosa che non
risiede in ciò che si guarda. Riconoscere un ladro tramite
processi veridittivi che si basino su assunti ideologici e
stereotipati è impossibile. Sul fraintendimento che nasce
dall'osservazione, prima, e dall'interpretazione, poi, di un
volto, Campanile produce una struttura narrativa che eleva
al massimo grado le incertezze della fisiognomica
scientifica. Avviene una frattura definitiva tra segno ed
etichetta: i tratti somatici sono, dunque,
signa non
necessaria, in quanto la verità degli indizi che
suggeriscono dipende esclusivamente dal modo in cui una
comunità li ha registrati.
"
Del resto - concluderebbe Campanile -
non è detto che solo la faccia abbia valore.
Anche le spalle hanno la loro importanza, e grande, rispetto
alla faccia, come l'hanno i piedi in confronto delle mani
(...) due strani animaletti autonomi che (...) spesso si
annidano nelle nostre tasche. Qualche volta nelle tasche
altrui".
(24)
(1)
Giovan Battista Della Porta,
Della fisionomia dell'huomo
(2
a edizione della tr. it. del
De humana
physiognomonia, Vico Equense, 1586), Napoli, 1610, V, 3, p. 285.
(2)
L'
Urphysiognomik, poi lievitata nei
quattro volumi dei
Physiognomische Fragmente zur Beförderung der
Menschenkenntnis und Menschenliebe pubblicati tra il 1775 e il
1778, è del 1772.
(3)
Cfr. Michel Régis,
Géricault, Paris,
éditions de la Réunion
des musées nationaux, 1991, pp. 244 sgg..
(4)
Cesare Lombroso,
L'uomo delinquente in rapporto all'antropologia,
alla giurisprudenza e alle discipline carcerarie, 4 voll.,
Milano, 1876, I, p. 277.
(5)
Cfr. quanto afferma Hegel a proposito della frenologia di
Franz Joseph Gall.
(6)
Achille Campanile,
L'uomo dalla faccia di ladro, in
Id.,
Manuale di conversazione, Milano, Rizzoli, 1973,
p. 47.
(7)
Ivi, p. 49.
(8)
Cfr. Achille Campanile,
Trattato delle barzellette
(1961), Milano, Rizzoli, 2001, p. 248.
(9)
Cfr. Algirdas Julien Greimas - Joseph Courtés,
Semiotica.
Dizionario ragionato della teoria del linguaggio
(1979), tr. it., Firenze, La Casa Usher, 1986, p. 59, s.
v.
Collettivo.
(10)
Algirdas Julien Greimas,
Del Senso 2 (1983), tr.
it., Milano, Bompiani, 1994, p. 29
(11)
Achille Campanile,
L'uomo dalla faccia di ladro
cit., p. 50.
(12)
Per il concetto di
sanzione in quanto giudizio
epistemico sulla conformità del programma narrativo del
soggetto performante in rapporto al sistema assiologico
di riferimento, cfr. Algirdas Julien Greimas - Joseph
Courtés,
Semiotica cit., p. 292, s. v.
Sanzione.
(13)
Cfr. Guido Almansi,
Introduzione, in Achille
Campanile,
In campagna è un'altra cosa (1931),
Milano, Rizzoli, 1984, p. II.
(14)
Cfr.
ivi, p. X.
(15)
Cfr.
ivi, p. XIV.
(16)
Giovanni Calendoli,
Achille Campanile, in AA.
VV.,
Letteratura italiana - Novecento. I
contemporanei (1974), Milano, Marzorati, 1979, p.
4434.
(17)
Umberto Eco,
I meccanismi del comico in Campanile,
in AA. VV.,
op. cit., p. 4453.
(18)
Id.,
Campanile: il comico come straniamento, in
Id.,
Tra menzogna e ironia, Milano, Bompiani,
1998, p. 69.
(19)
Achille Campanile,
Ma che cos'è quest'amore?, in
Id.,
Opere. Romanzi e racconti 1924-1933, a cura
di Oreste Del Buono, Milano, Bompiani, 1989, pp. 144-45.
(20)
Michel Foucault,
Le parole e le cose (1966),
Milano, Rizzoli, 1980, p. 7.
(21)
Rita Cirio,
Al terz'atto c'è la scema madre, ne
«L'Espresso», 30 aprile 1978.
(22)
"Tous renvoient à un sens plein et fixe, immobilisé par
une culture, à des rôles, des programmes, et des emplois
stéréotypés, et leur lisibilité dépend directment du
degré de partecipation du lecteur à cette culture (ils
doivent être
appris et
reconnus). Intégrés
à un énoncé, ils serviront essentiellement 'd'ancragè
référentiel en renvoyant au grand texte de l'idéologie,
des clichés, ou de la culture", Philippe Hamon,
Pour
un statut sémiologique du personnage, in AA. VV.,
Poétique du récit, Paris,
éditions
du Seuil, 1977, p. 122; la traduzione italiana è nostra.
(23)
Cfr. Umberto Eco,
Campanile: il comico come straniamento cit., pp. 95-96.
(24)
Achille Campanile,
Se la luna mi porta fortuna
(1927), Milano, Rizzoli, 1979, p. 209.
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