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Gioco degli equivoci e processi veridittivi ne
"L'uomo dalla faccia di ladro" di A. Campanile"
di Alessandro Gaudio
Università degli Studi della Calabria
La percezione del volto di un uomo si basa innanzitutto sul suo riconoscimento in quanto attribuzione di quel volto a una classe generale. Le sue proprietà corporee non sembrano poter essere colte se non attraverso categorie di percezione e sistemi di classificazione già dati. Secondo Umberto Eco, i messaggi visivi non comunicano l'apparenza degli oggetti, ciò che noi vediamo; bensì ciò che sappiamo sulla loro natura immanente.

Da sempre la fisiognomica ha cercato di inscrivere in categorie socialmente definite ogni aspetto fenomenologico del volto. Nel processo di riconoscimento di un malfattore, di solito, opera una selezione delle informazioni forniteci dall'esperienza che rimanda alle strutture di un sapere già consolidato. Un uomo è un ladro nella misura in cui risulta rapportabile all'immagine acquisita di tale categoria; nella misura in cui appartiene ad un dato contesto, in base alle informazioni che ci comunica la sua faccia, la sua voce, il suo nome.

Il ladro ha avuto, attraverso secoli di studi, delle caratteristiche abbastanza precise e, fino ad oggi, immutate. Già nell'opera di Giovan Battista Della Porta la solidarietà tra anima e corpo è totale: il ladro tipo veniva associato simbolicamente al lupo, all'aquila e al corvo; il ruolo tematico del suo Huomo Cattivo comprendeva un'immagine codificata di ladro basata sulle superfici e i moti peculiari del suo corpo:

"brutto di faccia, l'orecchie lunghe e strette, la bocca piccola distesa fuori, i denti canini lunghi formati e usciti fuori, la loquela veloce. (...) Il collo piegato: gobbo, con sei dita nelle mani, le gambe molto sottili, i piedi gobbi e cavi sotto." (1)

Il topos verrà ripreso da Jean-Luis Théodore Géricault (Rouen 1791 - Parigi 1824) che, forse su invito del medico parigino Georget, dipinse dieci ritratti di alienati (cinque dei quali sono andati perduti). Sulla scorta delle teorie di Johann Kaspar Lavater (2) e mediante l'osservazione diretta delle caratteristiche fisiognomiche dei pazienti Georget cercava di individuare le cause dei loro disturbi interiori, e i ritratti di Géricault gli potevano servire come materiale di studio. L'artista francese dipinse un Monomane del Furto esemplare per il suo sguardo intenso, fisso e obliquo: (3) caratteristiche che diventeranno peculiari anche nei ladri di Cesare Lombroso. Il ladro lombrosiano avrà:

notevole mobilità della faccia e delle mani; occhio piccolo, errabondo, mobilissimo, obliquo di spesso; testa piccola, fronte sfuggente, folto e ravvicinato il sopracciglio; il naso torto o camuso o incavato, scarsa la barba, nera più che folta la capigliatura, fronte quasi sempre piccola e sfuggente, pallido o giallo il viso e incapace d'arrossimento." (4)

La dipendenza dell'uomo dall'ordine biologico e da quello sociale diviene un po' meno stretta con la Sociologia criminale (1884) di Enrico Ferri che opera una semplificazione tipologica che lascia più spazio all'uomo dotato di libero arbitrio: la fisionomia del criminale, nei suoi caratteri dominanti, viene affiancata da un'analisi dettagliata delle sue attitudini morali, solo in parte riconducibili a tare fisiche.

Il concetto di occasione, diversamente da quanto auspicava Hegel nella Fenomenologia dello spirito (1807), non cancellerà i confini ideologici insiti nel prototipo del deviante: (5) il volto del ladro, in quanto isotopia creata dalla visione deformante di sistemi semiotici fondati su assunti mendaci, è ancora riconoscibile in quanto tale. L'efficacia delle dottrine di Della Porta, Lombroso e Ferri consiste nell'aver cercato di dare una legittimazione scientifica a quella percezione fisiognomica che ciascuno di noi condivide con gli altri.

La tradizione letteraria, come anche i luoghi comuni popolari, ha fornito una catena di associazioni, un sensus communis appunto, che la fisiognomica non ha fatto altro che rilevare e organizzare.

La stabilità e la prevedibilità di tali schemi fisiognomici sono alla base di quella cultura del pregiudizio rovesciata in maniera così divertente ne L'uomo dalla faccia di ladro, un breve racconto umoristico contenuto nel Manuale di conversazione (1973) di Achille Campanile. Dalla mancata corrispondenza tra il sembrare un ladro e l'esserlo effettivamente Campanile dà origine ad una struttura narrativa che sfrutta sapientemente a livello evenemenziale queste contraddizioni inscrivendole all'interno di un gioco di malintesi ed equivoci malvagio e beffardo.

Un "vecchio ladro" e un signore non meglio definito, il soggetto-narratore, stanno conversando all'interno di una bettola "fumosa" e affollata. Il vecchio si avvicina al suo interlocutore e comincia a raccontargli la storia del suo (a sentir lui) unico furto.

Il luogo in cui si svolgono i fatti è uno scompartimento di terza classe di un treno (ambiente topico nella narrativa campaniliana); seduto davanti al vecchio ladro c'è un viaggiatore descritto confusamente, ma il cui volto è, senz'altro, "poco rassicurante":

sotto la luce rossastra della lampada a petrolio, apparvero i lineamenti volgari d'una faccia equivoca, losca e pallidissima, che una squallidissima barba di sei o sette giorni rendeva ancor più sinistra e su cui si leggevano a chiare lettere la fame e la sfacciataggine. (6)

I due si osservano a lungo, finché il "losco figuro" emette un sintagma fulminante:
Io, signore, ho la faccia di ladro. (7)

Al quale fa seguire un elenco completo delle difficoltà che comporta una simile responsabilità fisiognomica. Il vecchietto continua il suo racconto descrivendo le fasi del furto operato ai danni del suo compagno di viaggio e la scoperta di essere stato a sua volta borseggiato dall'uomo dalla faccia di ladro che, in realtà, non aveva fatto altro che recuperare il proprio portafogli. L'anziano malfattore, quindi, conclude il suo racconto.

Il soggetto-narratore lascia la bettola ormai deserta e, dopo aver messo al corrente i lettori del furto perpetrato ai danni del loquace vecchietto, si accorge di essere stato derubato a sua volta. (8)

Nella perfetta circolarità della breve struttura narrativa, a passare da una tasca all'altra è sempre lo stesso oggetto di valore: il portafogli.

Il ladro di Campanile è, dunque, l'espressione di un pregiudizio a carattere lombrosiano basato sull'esatta correlazione tra Körper, inteso come assetto biotipologico, e Leib, in quanto corpo vissuto, corpo agito e che agisce. L'uomo che ha i tratti somatici tipici del ladro è il suo corpo; il suo linguaggio diventa fisionomia: quel corpo e, in primis, quella faccia contengono ed esprimono l'essenza e la corporeità dell'essere ladro.

Da un pregiudizio di questo tipo si procede, attraverso la narrazione, al suo rovesciamento, a disincarnare la parola e il gesto da quel corpo. In tal senso è determinante la sanzione continua e ripetuta all'attante collettivo, così denominato quando è dotato di un fare comune a tutti gli attori che sussume. (9)

Il racconto di Campanile è interamente basato sul confronto di natura polemica tra un soggetto e un anti-soggetto i cui programmi narrativi sono in rapporto di contraddizione. Tuttavia, nessuno dei tre soggetti presenti all'interno della storia riesce a rubare il portafogli dell'altro: essi, dopo appropriazioni più o meno prolungate, si trovano disgiunti dall'oggetto di valore.

Il continuo confronto fra i tre attori crea un universo di valori isotopo e chiuso: la forma di racconto che ne deriva è una delle più primitive: "due personaggi, alternativamente imbroglione e vittima, si appropriano successivamente di un oggetto di valore che passa così dalle mani dell'uno a quelle dell'altro all'infinito". (10) Ciò è ribadito nell'explicit del brano:

Insomma, non tardai a rendermi conto di quel che era avvenuto. Mentre mi faceva il suo racconto, il diabolico vecchietto, credendo di derubarmi, aveva, per la seconda volta in vita sua, rubato il suo portafogli.
Per la seconda volta, che sappia io. Ché chi sa quante altre volte s'era derubato. (11)

Giunzioni e disgiunzioni in successione danno luogo ad uno stato narrativo molto elementare caratterizzato, ogni volta, dalla presenza di due soggetti e di un solo oggetto di valore.

All'interno di un fare narrativo di questo tipo, si inscrive un fare-trasformatore, operato da tutti e tre gli attori, che garantisce lo spostamento da uno stato all'altro. Il soggetto trasformatore si identifica alternativamente sia con il vecchio (ladro), sia con il losco figuro (ladro), sia con l'Io-narrante (ladro).

La trasformazione porterà all'inversione dell'enunciato di stato di partenza e, quindi, il portafogli, oggetto di valore virtuale, diverrà realizzato nelle tasche del soggetto che opera la trasformazione; i ruoli dei soggetti si invertiranno con il furto successivo.

è evidente il tentativo dell'attante collettivo di dimostrare il suo saper-fare (il ladro), attraverso l'acquisizione iterata, ma ripetutamente sanzionata. (12) del portafogli. Purtroppo nessuna congiunzione con l'oggetto di valore va a buon fine, annullata com'è dalla disgiunzione successiva. Pertanto, il processo di realizzazione riflessiva dell'oggetto, attuatosi in concomitanza con l'appropriazione di questo da parte di un soggetto, si concretizza solo dal punto di vista modale; tanto è vero che non vi è alcun dubbio sul fatto che i singoli attanti sappiano fare i ladri.

Il loro saper-fare non è mai sanzionato. Per contro, la sanzione arriva all'attante collettivo per mezzo della sua disgiunzione dall'oggetto di tesaurizzazione, l'oggetto di valore descrittivo.

La grammatica generativa de L'uomo dalla faccia di ladro si muove, insomma, in senso opposto sia rispetto all'ideologia, intesa in quanto forma dei significati di connotazione, sia rispetto alla retorica intesa come forma dei connotatori.

Essa, inoltre, mette in scacco il processo di agnizione che gira a vuoto ad ogni tentativo di acquisizione del portafogli. L'uomo dalla faccia di ladro manca ripetutamente la congiunzione con l'oggetto di valore e si spoglia, così, della funzione segnalata dal suo volto. Perde, per così dire, la sua peculiarità, si confonde. Il racconto e il luogo comune sul quale esso si sostanzia vanno in corto circuito perché tutti i personaggi si comportano allo stesso modo, compromettendo, così, il passaggio da un certo sapere (ideologico) ad un altro sapere (vero) e invalidando il marchio, l'indice dell'appartenenza del soggetto ad un determinato sistema assiologico.

è stato detto che l'intera opera di Achille Campanile è programmata sul modello del caos; (13) di fatto, è un pentolone eterotopico, una sorta di brodo linguistico primordiale in continua ebollizione in cui le regole non vengono sfidate, ma ignorate.

Il pretesto, unità di misura di tutti i racconti dello scrittore romano, sostanzia un establishment dell'assurdo (14) all'interno del quale vige la lettera a discapito di qualsivoglia costruzione retorica o ideologica. Tali pretesti vanno a formare un corpus, una riserva di argomenti che precede ed è alla base del concetto stesso di letteratura: un magazzino di riso, (15) un vero e proprio silo memoriale.

Le tessere dell'umorismo di Campanile compongono un "disordinatissimo (o ordinatissimo) deposito" (16) dal quale l'autore attinge continuamente. Il pretesto è, dunque, un elemento modulare, una tragedia in due battute, un tema zero dell'argomento che, grazie alla sua malleabilità e disponibilità, può essere facilmente sviluppato attraverso un processo di smascheramento lento, ma puntuale, pazientemente irridente, ma conciso, che allontana e osserva il luogo comune fino a demistificarlo.

Il ricorso al luogo comune è, dunque, il punto di partenza dal quale si dipana la trama umoristica di Campanile. A tal proposito Umberto Eco afferma che "non c'è mai in Campanile realtà che non sia filtrata attraverso le lenti del luogo comune"; (17) il suo umorismo, cioè, "richiede, per essere capito, che già si sappiano molte cose sul mondo e sul linguaggio che ne ha parlato". (18)

Anche il titolo del racconto ha la funzione di normalizzare il contesto; "L'uomo dalla faccia di ladro" è una denominazione che indica l'appartenenza ad un gruppo, la struttura scelta per essere il luogo delle identità e delle differenze pertinenti. Segnala, altresì, un carattere; è un ammiccamento al linguaggio comune: la tipicità del personaggio viene sottolineata per, poi, essere contraddetta dall'organizzazione dei fatti. è come se la definizione che permette di identificare l'uomo dalla faccia di ladro fosse consunta a tal punto da non consentire più il riconoscimento di quella peculiarità così esibita.

Ne L'uomo dalla faccia di ladro è, dunque, la reiteratività della situazione a produrre la bisociazione, la collisione tra le matrici tra loro incompatibili della frase fatta e della lettera. L'ambiguità che nasce dalla divergenza dei due contesti di riferimento produce la scena umoristica. L'elemento che attua la disgiunzione, la biforcazione dal piano serio a quello comico, e la conseguente messa in crisi del luogo comune, è la mancata agnizione degli altri ladri e l'incapacità, bissata nell'uomo che del ladro ha le sembianze, di portare a termine il tanto agognato furto.

Anche in Ma che cos'è quest'amore? (1927) Campanile aveva sapientemente preso in giro la convenzionalità di alcune attribuzioni di carattere fisiognomico esasperando il processo di agnizione e, poi, negandolo:

Il signore biondo ossigenato accese la sigaretta che il vecchio gli porse e, fissandolo attentamente, proseguì:

«è straordinario come lei rassomiglia a un mio amico, un certo Mario. Lo conosce?»

«Non ho il piacere. Gli rassomiglio nei lineamenti?»

«No. Anzi i lineamenti sono diversissimi. Ma c'è qualche cosa, in lei...»

«Forse nello sguardo?»

«Tutt'altro. Nello sguardo non c'è nulla in comune. Però, in qualche cosa...»

«La voce?»

«Oh, no, no! Aspetti. Non arrivo a rendermi conto, eppure... si vuol alzare un momento per cortesia?»

«Volentieri».

Il vecchio s'alzò e il biondo ossigenato l'esaminò a lungo, pensieroso. Poi disse:

«Nella figura, non gli rassomiglia. Tuttavia... Si volti un minuto, per favore».

Il vecchio si voltò e si lasciò guardare dal biondo, che intanto mormorava mezze frasi, come parlando a se stesso, e aveva certi tentennamenti del capo che non promettevano nulla di buono.

«Fatto?» chiese finalmente il vecchio.

«S'accomodi» rispose il biondo ossigenato.

Quando si trovarono di nuovo faccia a faccia, il vecchio disse ansioso:

«Ebbene?»

«Ebbene», fece il biondo, dopo una pausa «debbo confessarle ch'ella non rassomiglia affatto, in nulla, al mio amico».

«Maledizione!» gridò il vecchio, spezzando un bicchiere. (19)

Con questo sistema Campanile, oltre al modo di dire, corrompe il modo di guardare: nei suoi micro-racconti opera uno spostamento da una regione esigua in cui il luogo comune viene percepito in quanto tale, e, di conseguenza, giudicato e respinto, ad una regione più ampia in cui il luogo comune, procedendo verso la lettera e ignorando, così, la propria codificazione, non esiste più.

La lettera, di fatto, coincide con la dimensione dell'eteroclito, così come è stata delineata da Michel Foucault: luogo in cui "è impossibile trovare per essi [esseri e oggetti di diversa natura] uno spazio che li accolga, definire sotto gli uni e gli altri un luogo comune" (20) e che già Guido Almansi ha associato all'umorismo di Campanile.

Si tratta di uno spazio privo di identità, atopico e aforico; una sorta di a priori storico e logico in cui si sperimentano le somiglianze e il loro potere logogeno; l'opera di Campanile assume la forma di un sottisier, di uno sciocchezzaio di flaubertiana memoria nel quale si ride delle corrispondenze di carattere ideologico tra le parole e le cose. La lettera testa la possibilità di una giustapposizione diversa, parallela, che disconosca il luogo comune. A tal proposito Rita Cirio afferma che: "La sua capacità di fare ridere si appoggia spesso sugli scarti improvvisi e quasi impercettibili da un universo 'normalè o per lo meno codificato come tale da certi stereotipi letterari o teatrali a un universo parallelo, sopra, sotto, accanto al primo. Per questo, invece di parlare di surrealismo si può parlare di 'realismo parallelo'". (21)

Partendo dalla perfetta corrispondenza tra la percezione di un singolo individuo e il concetto stereotipato di criminale, Campanile mette in crisi il dispositivo previsionale attraverso la misinterpretazione dei caratteri somatici dei personaggi. Le ben delimitate categorie utilizzate dalla fisiognomica scientifica lasciano spazio ad un'organizzazione del volto del personaggio disancorata dai canoni socialmente acquisiti e contrastante con il comportamento del deviante.

Con Campanile il senso esce dalla norma, dal cassetto, letteralmente, delira. In quest'ottica, al posto dei nomi propri, utilizza spesso sostituti patronimici in forma di clichés (il vecchio, il sinistro individuo, il biondo ossigenato, il signore con una faccia che s'incontra solamente sui vapori in mezzo al mare, l'erculeo granatiere che sorregge sulle braccia un affusto di cannone e cinque compagni in una volta e, appunto, l'uomo dalla faccia di ladro); tutti atti a segnalare il tipo, il carattere peculiare, il ruolo. Tali personaggi sono stati definiti da Philippe Hamon referenziali in quanto: "tutti rinviano a un senso pieno e fisso, immobilizzato da una cultura, a dei ruoli, a dei programmi, a degli usi stereotipati, e la loro leggibilità dipende direttamente dal grado di partecipazione del lettore a quella cultura (essi devono essere appresi e riconosciuti). Integrati in un enunciato fungeranno essenzialmente da 'ancoraggio' referenziale per rinviare al grande testo dell'ideologia, dei clichés, o della cultura". (22)

La denominazione, insomma, non consente, anzi, compromette la distinzione; non c'è riconoscimento, ma semplice traduzione di senso da un individuo ad un altro: il senso va alla deriva, si allarga continuamente fino a rompere i limiti del significante.

Lo spazio in cui il luogo comune è negato è quello in cui Campanile sanziona la definizione di un volto come figurativizzazione di un ruolo tematico; quello in cui l'autore ci mostra una cosa come se la vedessimo per la prima volta. In tal senso, Umberto Eco parla di effetto di straniamento, (23) sulla scorta del concetto che i formalisti russi avevano attribuito all'arte seria.

Emerge una certa irriducibilità dei tratti del volto sulla quale si fonda un intreccio capace di sfruttare l'equivoco che nasce dal senso suggerito dall'immagine. Gli strumenti della conoscenza utilizzati dai sistemi sociali che circondano il ladro di Campanile sono fallaci perché legati a convenzioni che producono inferenze arbitrarie. Sia l'immagine che il nome sembrano surrogare un senso assolutamente non combinabile con la dynamis dell'oggetto: entrambi sono simboli fraintesi di qualcos'altro, di qualcosa che non risiede in ciò che si guarda. Riconoscere un ladro tramite processi veridittivi che si basino su assunti ideologici e stereotipati è impossibile. Sul fraintendimento che nasce dall'osservazione, prima, e dall'interpretazione, poi, di un volto, Campanile produce una struttura narrativa che eleva al massimo grado le incertezze della fisiognomica scientifica. Avviene una frattura definitiva tra segno ed etichetta: i tratti somatici sono, dunque, signa non necessaria, in quanto la verità degli indizi che suggeriscono dipende esclusivamente dal modo in cui una comunità li ha registrati.

"Del resto - concluderebbe Campanile - non è detto che solo la faccia abbia valore. Anche le spalle hanno la loro importanza, e grande, rispetto alla faccia, come l'hanno i piedi in confronto delle mani (...) due strani animaletti autonomi che (...) spesso si annidano nelle nostre tasche. Qualche volta nelle tasche altrui". (24)



(1) Giovan Battista Della Porta, Della fisionomia dell'huomo (2a edizione della tr. it. del De humana physiognomonia, Vico Equense, 1586), Napoli, 1610, V, 3, p. 285.
(2) L'Urphysiognomik, poi lievitata nei quattro volumi dei Physiognomische Fragmente zur Beförderung der Menschenkenntnis und Menschenliebe pubblicati tra il 1775 e il 1778, è del 1772.
(3) Cfr. Michel Régis, Géricault, Paris, éditions de la Réunion des musées nationaux, 1991, pp. 244 sgg..
(4) Cesare Lombroso, L'uomo delinquente in rapporto all'antropologia, alla giurisprudenza e alle discipline carcerarie, 4 voll., Milano, 1876, I, p. 277.
(5) Cfr. quanto afferma Hegel a proposito della frenologia di Franz Joseph Gall.
(6) Achille Campanile, L'uomo dalla faccia di ladro, in Id., Manuale di conversazione, Milano, Rizzoli, 1973, p. 47.
(7) Ivi, p. 49.
(8) Cfr. Achille Campanile, Trattato delle barzellette (1961), Milano, Rizzoli, 2001, p. 248.
(9) Cfr. Algirdas Julien Greimas - Joseph Courtés, Semiotica. Dizionario ragionato della teoria del linguaggio (1979), tr. it., Firenze, La Casa Usher, 1986, p. 59, s. v. Collettivo.
(10) Algirdas Julien Greimas, Del Senso 2 (1983), tr. it., Milano, Bompiani, 1994, p. 29
(11) Achille Campanile, L'uomo dalla faccia di ladro cit., p. 50.
(12) Per il concetto di sanzione in quanto giudizio epistemico sulla conformità del programma narrativo del soggetto performante in rapporto al sistema assiologico di riferimento, cfr. Algirdas Julien Greimas - Joseph Courtés, Semiotica cit., p. 292, s. v. Sanzione.
(13) Cfr. Guido Almansi, Introduzione, in Achille Campanile, In campagna è un'altra cosa (1931), Milano, Rizzoli, 1984, p. II.
(14) Cfr. ivi, p. X.
(15) Cfr. ivi, p. XIV.
(16) Giovanni Calendoli, Achille Campanile, in AA. VV., Letteratura italiana - Novecento. I contemporanei (1974), Milano, Marzorati, 1979, p. 4434.
(17) Umberto Eco, I meccanismi del comico in Campanile, in AA. VV., op. cit., p. 4453.
(18) Id., Campanile: il comico come straniamento, in Id., Tra menzogna e ironia, Milano, Bompiani, 1998, p. 69.
(19) Achille Campanile, Ma che cos'è quest'amore?, in Id., Opere. Romanzi e racconti 1924-1933, a cura di Oreste Del Buono, Milano, Bompiani, 1989, pp. 144-45.
(20) Michel Foucault, Le parole e le cose (1966), Milano, Rizzoli, 1980, p. 7.
(21) Rita Cirio, Al terz'atto c'è la scema madre, ne «L'Espresso», 30 aprile 1978.
(22) "Tous renvoient à un sens plein et fixe, immobilisé par une culture, à des rôles, des programmes, et des emplois stéréotypés, et leur lisibilité dépend directment du degré de partecipation du lecteur à cette culture (ils doivent être appris et reconnus). Intégrés à un énoncé, ils serviront essentiellement 'd'ancragè référentiel en renvoyant au grand texte de l'idéologie, des clichés, ou de la culture", Philippe Hamon, Pour un statut sémiologique du personnage, in AA. VV., Poétique du récit, Paris, éditions du Seuil, 1977, p. 122; la traduzione italiana è nostra.
(23) Cfr. Umberto Eco, Campanile: il comico come straniamento cit., pp. 95-96.
(24) Achille Campanile, Se la luna mi porta fortuna (1927), Milano, Rizzoli, 1979, p. 209.



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