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1932
Campanile, comincia a collaborare con il giornale torinese La Gazzetta del Popolo nel 1930. Ma già nel 1928 il neodirettore Ermanno Amicucci lo avrebbe voluto tra i collaboratori del giornale, come testimonia la lettera inviatagli da Ermanno Amicucci:

"Roma 12 dicembre 1928 VI

Caro Campanile,
la Gazzetta del Popolo , di cui sto per assumere la direzione politica, vorrebbe .... alla tua collaborazione e sarebbe disposta a farti condizioni migliori di quelle che ti fa La Stampa. Spero che vorrai accettare. Perciò ti prego di farmi conoscere le tue pretese, mandandomi un biglietto qui al Sindacato o facendoti vedere.
Grazie. Saluti cordiali dal tuo
Ermanno Amicucci"


Collaboratore dei maggiori giornaIi italiani, (è del 1932 l’inizio di una collaborazione anche con Il Mattino, direttore Luigi Barbini, per la pubblicazione di novelle mensili), Campanile diventò popolare quando, inviato al seguito del Giro d'Italia, inventò il personaggio di "Battista" il cameriere gregario. Come è scritto nella Premessa a Battista al Giro d’Italia, indirizzata al direttore Ermanno Amicucci, mentre l’autore era alle prese con la preparazione di alcuni romanzi, tra cui Chiarastella, gli fu chiesto di seguire il Giro. L’esperienza fu esaltante e venne accolta con gran favore dal pubblico come ricordava lo stesso Campanile che, raccogliendo i servizi nel libro Battista al Giro d’Italia, dichiarò che lo aveva fatto per "rendere un omaggio a giornalismo". In questo pezzo tratto dai diari l’autore racconta del felice incontro con Felice Scandone, allora affermatissimo cronista sportivo del giornale torinese, che perse eroicamente la vita come corrispondente di guerra nei cieli del Mediterraneo nel 1942.
Dal diario dell' anno 1932
1° Giro d’Italia
......Maggio
La prima volta che partecipai ad un Giro d’Italia Amicucci mi aveva detto: "Troverai a Milano Scandone che farà il servizio tecnico della corsa destinato a un pubblico competente. Tu farai un servizio umoristico destinato a interessare il pubblico non competente.

Era la prima volta che si faceva una cosa simile. Fino ad allora la cronaca degli avvenimenti sportivi veniva fatta soltanto da specialisti che li trattavano tecnicamente sicchè si può dire che restavano chiusi in una cerchia di lettori iniziati; gli altri lettori aspettavano a piè pari le cronache sportive anche quando, trattandosi di avvenimenti importanti, esse occupavano intere pagine.

Amicucci voleva interessare agli avvenimenti sportivi anche l’immenso pubblico non iniziato.

Tentativo pericoloso: c’era il rischio di non riuscire a rompere l’apatia del grosso pubblico verso questi avvenimenti e, per di più, di urtare la suscettibilità degli iniziati per i quali pareva che su certe cose non si poteva scherzare. E per prima cosa c’era il pericolo di incontrare la diffidenza e forse l’ostilità dei cronisti sportivi, dei tecnici, per i quali io sarei stato un intruso e addirittura un profanatore.

In questo stato d’animo arrivai a Milano. Non conoscevo Scandone, ma avevo da molti anni visto il suo nome sotto un’infinità di articoli sportivi che non leggevo essendo incompetente; mi figuravo l’autore, chissà perché, un uomo d’una certa età, piuttosto grosso, dall’aria autorevole, piena di sufficienza, tutto chiuso nella sua scienza sportiva e geloso di inframmettenze poco serie.

Nel vestibolo dell’albergo vidi venirmi incontro con le mani tese, un giovinetto snello, alto, con una capigliatura ondulata e con sul volto un sorriso lieto, aperto e cordiale da sembrare piuttosto un'allegra risata. Era Scandone e dovevo poi accorgermi che quel sorriso era la sua costante espressione ed era il segno d’un’anima di fanciullo, d’una coscienza serena, d’una perfetta sanità fisica e morale, d’una irreprimibile gioia di vivere.
I primi due giorni della corsa, che doveva durare circa un mese , io non m’ero ancora orizzontato in mezzo a cose per me ignotissime, andavo saggiando l’acqua col piede prima di tuffarmi. Scandone, malgrado la mia resistenza, aveva voluto accollarsi l’improba fatica di dettare al telefono anche i miei articoli, per risparmiarla a me e perché non si fidava di comuni telefonisti. E dettando quei primi due articoli che non erano né carne né pesce, e dei quali io ero scontentissimo, mi faceva affettuosi cenni di consenso e d’incoraggiamento dovuti, credo, unicamente alla sua bontà.
Il terzo giorno armatomi coraggiosamente della mia colossale incompetenza in materia, cominciai a prendere in giro tutta la corsa: ce n’era per tutti: per gli assi, per gli isolati, per i tecnici, per la giuria, per gli organizzatori, per i giornalisti sportivi, non si salvava nessuno; il Giro d’Italia fino a quel giorno trattato "scientificamente", lo trattavo come una farsa. Pensavo: "Adesso quando Scandone lo detta succederà il finimondo, mi toglierà il saluto"
Lo trovai al telefono che dettava piegato in due per il ridere. Poi m’abbracciò e mi disse in quel suo immenso napoletano (non ho mai sendiari_titoloo parlare un napoletano più pieno, turgido e ricco di quello di Scandone): "Achí, si’ ggruosso (sei grande).

Da allora era lui ad indirizzarmi perché il mio giro d’Italia fosse sempre più divertente, perché trasformassi in materia di riso quella che egli steso trattava con grande competenza, serietà e autoritá. Perché, napoletano anche in questo, era pieno di spirito e il fatto di essere un competentissimo tecnico di ogni sport non gli impediva di vivere, di sorridere sempre con bontà sugli aspetti buffi della materia ch’egli tanto amava e a cui aveva dedicato la vita.

E in veritá, allo sport Scandone aveva dedicato la vita. Oltre a fare nella Gazzetta del Popolo quelle magistrali cronache in cui la sua competenza tecnica non sopraffaceva ma i la leggibilitá e la piacevolezza di lettura, egli dirigeva a Napoli un grande giornale sportivo. Ma del giornalismo non aveva il concetto di un semplice annotatore, di scrittore, di critico degli avvenimenti. Per lui il giornalismo s’identificava con l’azione: era lui il promotore,l’organizzatore, il sostenitore delle più importanti manifestazioni sportive del Mezzogiorno. Insomma l’avvenimento sportivo non si limitava a descriverlo ma addirittura lo creava. E faceva questo non soltanto attraverso le molte iniziative di cui era ideatore e partoritore, ma anche nella sua opera spicciola, di giornalista.

Durante la corsa, specie nei momenti decisivi s’avvicinava con l’automobile a questo o a quel corridore dando un buon consiglio tecnico, rincuorando, suggerendo il momento giusto per una volata o il momento di risparmiare le forze, indicando un "rapporto" da adottare piuttosto che un altro, battendosi accanitamente per qualche errore o parzialità della giuria. Era il consigliere dei corridori. Per questo era amatissimo da tutti i corridori, dagli assi famosi che molto gli dovevano, fino agli umili, agli oscuri, ai paria della corsa che sapevano di avere in lui sempre un difensore. E in tutta la carovana della corsa era la figura più popolare. Non era possibile concepire un Giro d’Italia o di Francia senza il sorriso luminoso e la chiassosa allegria di Scandone che brillava come il sole sull’iridescente sfrecciare delle maglie d’ogni colore, tra lo scintillio delle macchine, delle ruote, dei manubri, nel lieto panorama di questa favola primaverile, in quella festa di prati luminosi, di colline profumate, siepi, fiori, ruscelli, montagne.
Ma dove veramente la figura di Scandone dominava la scena era al Giro di Francia. Se il Giro d’Italia era una poetica festa primaverile, il Tour era un inferno.

Partivamo verso sera a Torino in automobile. Al Moncenisio i doganieri, che ci aspettavano da un momento all’altro ogni anno in quei giorni, appena ci vedevano spuntare, ci facevano festa. "Speriamo di spuntarla quest’anno! Se non ci saranno camorre! Arrivederci tra un mese! E auguri!"
L’anno successivo a un Tour in cui avevo troppo sfottuto certi aspetti della Francia, i carabinieri al nostro confine ci avvertirono che al posto francese c’era il mio nome sul registro di quelli che non si doveva lasciare entrare. "Se non vi fanno entrare - aggiunsero - tornate indietro e aspettate le dieci. A quell’ora i doganieri francesi, che non vogliono essere disturbati nel sonno, tolgono le catene e può entrare chiunque".
Ma di solito il doganiere francese, coi grossi baffi e dal naso grosso, occupato in un muto colloquio con una bottiglia di Pernod nella stamberga che gli serviva d’ufficio, si limitava a mettere filosoficamente un timbro d’entrata sul passaporto senza parlare né questo,né il registro, né i viaggiatori.

A Parigi.

Tra i francesi del Tour, corridori, giornalisti e organizzatori, era popolarissimo questo giovane napoletano cosí rumorosamente edivsivo. Parlava un francese inverosimile, o piuttosto un napoletano buffamente francesizzato nelle desinenze. E la cosa più strana è che riusciva a farsi capire benissimo dai francesi e persino a fare da interprete tra quelli e qualche nostro asso. Bravissimo a "fregare" i giornali concorrenti col telefonare per primo, col capire particolari sfuggiti ad altri, era sempre pronto ad aiutare i colleghi anche concorrenti.
Una volta fece non so se due o tre duelli uno dopo l’altro.

Maggio

...Mando le prime bozze di Battista a Treves.

Dicembre

Collaboro al "Mattino" di Napoli diretto da Barzini; "Scena Illustrata"
Intanto Tuminelli estromesso dalla casa Treves.
"I Giri d’Italia d'un tempo erano più divertenti, perché meno tecnici. Più sportivi, più allegri. Poi hanno avuto pretese scientifiche. Del resto, anche i giornali erano più allegri. Un tempo poteva accadere che un giornale, come la Gazzetta del Popolo, di cui ero inviato speciale, permettesse di fare il tifo per i " Sempre in Coda "? I Sempre in Coda erano quelli che arrivavano ultimi, come predestinati. Io partii da un moto di simpatia per questi disgraziati pieni di buona volontà, fra cui c’erano anche ottimi elementi, e ne feci dei personaggi. Un altro personaggio era il fedele Battista, il servitore personale che mi accompagnava. Lui in bicicletta io in automobile. Lui sempre cercando di aiutare qualcuno, sottoponendosi a fatiche tremende, generoso com'era"".

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